La grande eredità che ci lascia Papa Ratzinger

“Cari fratelli e sorelle, dopo il grande Papa Giovanni Paolo II i signori cardinali hanno eletto me, un semplice e umile lavoratore nella vigna del Signore. Mi consola il fatto che il Signore sa lavorare e agire anche con strumenti insufficienti e soprattutto mi affido alle vostre preghiere. Nella gioia del Signore risorto, fiduciosi del suo aiuto permanente andiamo avanti. Il Signore ci aiuterà, Maria sua Santissima Madre sta dalla nostra parte”.

Joseph Ratzinger, Papa Benedetto XVI, si presentò al mondo nel giorno della sua elezione con questa breve, sobria e intensa dichiarazione. Una dichiarazione di fede e di intenti da cui emerse la personalità impersonale e l’umiltà di una figura altissima caratterizzata da uno stile e da uno spessore che tutti, sostenitori e avversari, hanno sempre riconosciuto a questo grande teologo tedesco salito al soglio di Pietro, in un momento, peraltro, molto particolare per la Chiesa e per l’Occidente cristiano.

Una congiuntura storica che lo stesso Pontefice più volte illuminò di una riflessione severa e drammatica e pure piena di speranza e di fede per il futuro.

Già stretto collaboratore di Giovanni Paolo II, custode del magistero cattolico, Papa Ratzinger rappresentò quella parte del cattolicesimo che, pur non rinunciando a portare uno sguardo sempre nuovo sulla realtà del mondo, riteneva che il vero e ultimo ancoraggio della Chiesa e della comunità dei fedeli dovesse essere la tradizione perenne del cattolicesimo, le verità di cui essa è custode, la centralità di quell’avvenimento rivoluzionario che è l’incarnazione di Cristo nel mondo e sulla terra.

Ratzinger, già prima della sua elezione al soglio pontificio, era già intervenuto con durezza anche sulle contraddizioni interne alla Chiesa, non solo affrontando i suoi errori teologici interni, come la teologia della liberazione – che costituisce oggettivamente una apostasia del messaggio evangelico e un suo trascinamento sul piano della lotta politica – ed i suoi “accomodamenti” al mondo, ma anche alzando il velo su fenomeni di corruzione e decadenza morale e dottrinaria di cui alcuni rappresentanti della Chiesa di Roma erano stati protagonisti.

Ma soprattutto Ratzinger è stato sempre in prima linea nel combattere la battaglia spirituale per riaffermare e ribadire la necessità per l’Europa e per l’Occidente di non smarrire il ricordo e l’ancoraggio alle sue radici profonde. Nel dibattito sulle radici dell’Europa, Ratzinger, in qualità di Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, aveva rammentato i rischi della deriva relativista, dello smarrimento della propria identità spirituale, di un pensiero debole che presentandosi come veicolo di apertura e tolleranza finisce, invece, con il cancellare ogni punto di riferimento, aprendo la strada a ideologie nichiliste che eliminano ogni possibilità di verità ed ogni riferimento etico. Per queste sue prese di posizione Ratzinger fu attaccato duramente dal fronte laicista, venendo definito “il più scoperto portabandiera di una concezione reazionaria del mondo”: accuse che non scossero la serenità di Papa Benedetto XVI né la sua determinazione. Questo Papa inoltre era da tempo impegnato sull’altro fronte della difesa della sacralità e del mistero della vita, minacciata dalla offensiva del fronte laicista.