Quali rischi sistemici e ruolo del sistema bancario. L’opinione di Pedrizzi

Per fare sistema, l’Italia ha molto bisogno delle banche, ma anche di banchieri illuminati. L’opinione di Riccardo Pedrizzi, presidente regionale dell’Ucid Lazio, già senatore della Repubblica

Te la do io l’America, era il titolo di un famoso programma tv di quando Beppe Grillo si esibiva ancora in veste di comico. Da quel fronte statunitense, oggi, ma anche da quello russo, arrivano  minacce insidiose. In attesa di conoscere l’eventuale esposizione delle nostre banche sul fronte americano, dopo il crack della Svb, i segnali che arrivano dalle Borse, e in particolare da Piazza Affari, non sono proprio incoraggianti. Se Piazza Affari fiuta il pericolo, un motivo ci sarà. Le rassicurazioni che arrivano dagli Stati Uniti sulla solidità del sistema americano, da parte di Biden, dovrebbero essere sufficienti ad evitare un “contagio”, almeno sul piano finanziario, dettato dal panico dell’effetto “Lehman Brothers” anche in Europa. Ma i mercati, si sa, si muovono con  logiche che spesso sono indipendenti da quelle politiche e il sottobosco della finanza globalizzata riserva spesso sorprese clamorose.

In casa nostra, però, i problemi sono anche altri, qualcuno dei quali non solo di carattere economico, ma anche etico. Non si può ignorare quello che a tutti gli effetti potrebbe essere considerato l’ultimo schiaffo ai risparmiatori da parte dei colossi del credito italiano, che marciano a gonfie vele verso utili record e non “socializzano” i profitti a beneficio dell’economia e della cittadinanza, ora alle prese anche con le scellerate decisione della Bce che sta provocando una nuova, quanto inutile, impennata dei tassi.

Utili e stipendi, ai vertici delle banche, salgono quasi di pari passo come in una sorta di “cartello” dei manager privati chiamati a macinare soldi: chi distribuisce dividendi agli azionisti si sente in dovere di chiedere anche benefici milionari per sé, nell’assoluta – o quasi – inconsapevolezza della clientela, alla quale negli ultimi anni si sta togliendo l’assistenza allo sportello, la gratuità dei bancomat e l’accesso garantito al credito, sia ai privati che alle imprese. Ecco perché scandalizza, ma non sorprende, la vicenda dell’amministratore delegato di Unicredit, Andrea Orcel, che ha ottenuto dal Cda la proposta (da far votare a fine mese all’assemblea dei soci) di un maxi aumento dei propri emolumenti, con il sostegno e la “giustificazione” del presidente, l’ex ministro Pd dell’Economia Pier Carlo Padoan in governi di sinistra, altra apparente contraddizione.

 

Un aumento che viene presentato da Unicredit come “coerente” con il trend di crescita degli utili dell’istituto bancario: un salto del 30%, da 2,5 a 3,25 milioni di euro con over-performance riconosciute fino ad una remunerazione massima complessiva di 9,75 milioni di euro per l’ex manager di Ubs.

Senza scivolare sulla retorica delle bollette degli italiani, non si può negare che sia un pessimo segnale, ma anche un reale rischio d’impresa visto che la stessa Unicredit ha reso noto di potersi vedere costretta ad affrontare perdite per circa 7 miliardi di euro nello “scenario estremo”, se le sue attività russe dovessero venire cancellate. Come spiegato dal Financial Times, Unicredit ha affermato di avere prestiti per circa 7,8 miliardi nei confronti della sua società russa e un’esposizione netta transfrontaliera verso società per 4,5 miliardi, di cui circa il 5% era stato colpito da sanzioni. Cosa succede se la guerra, oltre a non fermarsi, dovesse allargarsi all’Occidente?

Molto di nuovo, sul fronte orientale, dunque, ma anche su quello occidentale, parafrasando il titolo di un famoso film. Orcel non se ne cura, a parte le simboliche dimissioni della vicepresidente: accusata di aver fatto conoscere la notizia quantomeno sconveniente dell’aumento della remunerazione, nonostante in queste ore sia arrivata la bocciatura dal proxy advisor Institutional Shareholder Services (Iss), che consiglia agli investitori istituzionali di votare contro l’aumento dello stipendio dell’a.d. di Unicredit, in occasione dell’assemblea del 31 marzo prossimo.

Padoan, schieratosi in difesa di Orcel, giustifica l’aumento dello stipendio con parole che sanno di ambiguità: “È giusto correggere un difetto nel disegno iniziale del pacchetto retributivo ed agire in coerenza con un’organizzazione intenta a riconoscere, premiare e incentivare l’eccellenza e il superamento dei risultati”. E per scaricarsi un po’ la coscienza, Unicredit comunica che le commissioni sui conti correnti verranno diminuite a tutti i clienti, finora però non s’è visto il ripristino  delle condizioni dei tassi creditori praticate prima che la Bce li abbassasse. E ora che sono saliti e che continuano a salire come si comporterà il grande istituto?

Le banche, pur come soggetti privati, contribuiscono allo sviluppo della comunità, rappresentando un fattore di coesione sociale: questa funzione non va dimenticata. Per tale motivo il profitto non può essere l’unico obiettivo delle proprie attività. A questo ruolo, che è di carattere economico, sociale, culturale e solidaristico non sembra negli ultimi tempi abbia assolto una parte del nostro sistema bancario, se è vero che, a differenza di famiglie di imprese, soprattutto le Pmi, che, durante tutto il periodo della pandemia e poi della guerra russo-ucraina, non se la passano bene, ha conseguito profitti che non avevano mai visto, nemmeno prima della crisi pandemica.

È chiaro che il mondo bancario vive una fase di crescita finanziaria slegata dal rallentamento dei fondamentali dell’economia reale italiana, dovuta alla crisi ucraina e all’aumento dell’energia, ma è anche chiaro che ai record di redditività non corrisponda mai alcun calo dei costi per i clienti né un miglioramento delle condizioni su prestiti e mutui a cittadini e imprese. Resta sospeso anche il tema del cash e delle commissioni bancarie sul Pos. È doveroso che Bankitalia partecipi, con il governo, e nell’interesse dei cittadini, ad esercitare una forte “moral suasion” sugli istituti di credito affinché intervengano eliminando di propria iniziativa i costi almeno per le piccole transazioni che spesso annullano i guadagni per i commercianti, come su bolli, tabacchi, frutta, benzina, giornali, prodotti da bar.

Se le banche non volessero rispondere alle sollecitazioni, non ci sarebbe altra strada che intervenire fiscalmente con criteri di equità e di giustizia. In altri Paesi, molti governi hanno deciso di tassare gli extraprofitti non solo dei grandi gruppi energetici ma anche delle banche, per finanziare i sostegni ai cittadini. La strada da seguire è questa: convincere le banche a redistribuire sull’intera comunità nazionale i vantaggi di una crescita che non può essere solo indirizzata alla remunerazione del capitale, degli stipendi e delle speculazioni finanziarie. Per fare sistema, l’Italia ha molto bisogno delle banche, ma anche di banchieri illuminati.

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